lunedì 28 marzo 2011

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Sono scarsi i sensi in dotazione alla specie dell'uomo. Li migliora con il riassunto della intelligenza. Il cervello dell'uomo è ruminante, rimastica le informazioni dei sensi, le combina in probabilità. L'uomo così è capace di premeditare il tempo, progettarlo. E' pure la sua dannazione, perchè dà la certezza di morire. [...] L'uomo non sopporta la fine, dopo averla saputa si distrae, spera di aver sbagliato previsione.


Nessuna geometria ha ricavato la formula dell'uovo. Per il cerchio, la sfera c'è il pigreco, ma per la figura perfetta della vita non c'è quadratura.

Un uomo che non frequenta donne dimentica che hanno di superiore la volontà. Un uomo non arriva a volere quanto una donna, si distrae, s'interrompe, una donna no. [...] una donna è quel filo di ragno steso in un passaggio, che si attacca ai panni e si fa portare. Gli aveva messo addosso i suoi pensieri e non se li scrollava.

Un uomo che non frequenta donne è un uomo senza. Non è un uomo e basta, nient'altro da aggiungere. E' un uomo senza. Può dimenticarselo, ma quando si ritrova davanti, lo sa di nuovo.

Un padrone di tutto, se c'era, non avrebbe permesso il guasto della sua roba, non l'avrebbe lasciata alla malora in mano alla specie degli uomini. Un padrone se c'era, s'era ubriacato e aveva perso la via di casa. Meglio se non c'era. L'uomo prosperava in sua assenza. Aveva imparato il bene e il male servendosi da solo. Era impossibile un padrone di tutto, però quell'impossibile teneva compagnia.

E. De Luca - Il peso della farfalla

giovedì 17 marzo 2011

Ilaria

Grandi occhi a trattenere pensieri
gioia amore
giochi di bambina
Non colori
non sorrisi
per chi sereno e pinto ha già il cuore
Rimani così
solo il crine a celare il viso
grandi ali a portarti lontano
caldi abbracci a tenerti vicina
Dona a tutti un sorriso
dona a pochi il tuo amore.

mercoledì 16 marzo 2011

Fuggire

Soffoca il grido nella corsa

Desiderio primordiale
da tempo sopito
svegliato da un sussulto
una parola
e gli occhi si schiudono

Fiuta
cerca
affamata bestia ormai ridestata

Nessun guerriero potè domarla

Un solo eletto

la spada dorata

alla sua vita fine porrà.


domenica 13 marzo 2011

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Non aveva importanza come avrebbe iniziato: la vita stessa si evolveva da un'unica cellula o forse anche da meno.

La vita [...] si può riassumere in due parole: "salve" e "arrivederci". Eppure era infinita [...] e per questo richiedeva un'infinità forza di volontà.

I giorni sono più veloci di un fugace pensiero.

Nagib Mahfuz - Un uomo da rispettare

mercoledì 9 marzo 2011

L'incontro

Come in un antico sogno
cammino a piedi scalzi sulla sabbia
ridestando orme passate
Echi lontani dell'onde
schiantano di vento tra neri capelli
gelando cupi pensieri
Fantasmi blu del passato
mischiano le lenti voci del presente
a sussurri, sospiri ed aneliti di vita
Fumi di ricordi sbiaditi
di remota esistenza argentata
la Luna nel cuore oggi rischiara.

venerdì 4 marzo 2011

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Uno scrittore non ha niente da dare se non quello che scrive. Al lettore non deve nient'altro che la disponibilità della pagina stampata [...] Il miglior lettore e il miglior essere umano sono quelli che mi fanno la grazia della loro assenza.

La maggior parte della gente non è preparata alla morte, alla propria o a quella di chicchessia. Ne sono scioccati, terrorizzati. E' come una grossa sorpresa. Che diavolo, non dovrebbe esserlo. Io mi porto la morte nel taschino. A volte la tiro fuori e le parlo: "Ciao bella come va ? Quand'è che vieni a prendermi? Sono pronto".
Nella morte non c'è niente di triste, non più di quanto ce ne sia nello sbocciare di un fiore. La cosa terribile non è la morte, ma le vite che la gente vive o non vive fino alla morte. Non fanno onore alla propria vita, la pisciano via. La cagano fuori. Muti idioti. Troppo presi a scopare, film, soldi, famiglia, scopare. Hanno la testa piena di ovatta. Mandano giù Dio senza pensare, mandano giù la patria senza pensare. Dopo un po' dimenticano anche come si fa a pensare, lasciano che siano gli altri a pensare per loro. Hanno il cervello imbottito di ovatta. Sono brutti, parlano male, camminano male. Gli suoni la grande musica dei secoli ma loro non sentono. Per molti la morte è una formalità. C'è rimasto ben poco che possa morire.

[...] Se c'è una cosa che la morte non può soffrire è che si rida di lei. Una buona risata può fregare qualsiasi handicap.

Per me scrivere è volare, è accendere un fuoco [...] Per scrivere non basta il dolore, ci vuole uno scrittore.

E' strano. La notte va sempre tutto bene, di notte scrivo. E' delle giornate che bisogna sbarazzarsi. In un certo senso sono anche malato. Non guardo in faccia la realtà. Ma chi diavolo ha voglia di farlo?

Poi, a un tratto, la sera è diventata notte. A volte non hai il tempo di accorgertene, Le cose capitano in pochi secondi. Tutto cambia. Sei vivo. Sei morto. E il mondo va avanti.
Siamo sottili come carta. Viviamo sul filo delle percentuali, temporaneamente. E questo è il bello e il brutto, il fattore tempo. E non ci si può fare niente. Puoi startene in  cima a una montagna a meditare per decenni e non cambierà una virgola. Puoi cambiare te stesso e fartene una ragione, ma forse anche questo è sbagliato. Magari pensiamo troppo. Sentire di più, pensare di meno.

Mi piace il modo in cui i filosofi demoliscono i concetti e le teorie che li hanno preceduti. Succede da secoli. No, dicono, non è così. E' così, invece. Succede continuamente e questa spinta in avanti sembra molto sensata. Il problema più grosso per i filosofi è che devono umanizzare il loro linguaggio, renderlo più accessibile, così i pensieri si illuminano meglio, sono ancora più interessanti. Credo stiano imparando. La chiave è la semplicità.
Scrivendo bisogna scivolare via. Le parole magari saranno monche e smozzicate, ma se scivolano via, allora c'è un piacere che rischiara tutto quanto. La scrittura accurata è una scrittura mortale. Credo che Sherwood Anderson sia stato fra i più bravi a giocare con le parole come fossero pietre, o pezzi di roba da mangiare. Lui DIPINGEVA le parole sulla carta. Ed erano così semplici che si sentivano flussi di luce, porte che si aprivano, pareti che luccicavano. Si vedevano tappeti, scarpe e dita. Lui aveva le parole. Delizioso. Eppure, erano anche come proiettili. Sapevano buttarti giù.

Ma per tutti noi, ancora adesso, la riga successiva è sempre là e può essere la riga che finalmente ce la fa, che finalmente dice ciò che vuole dire.

Ma il tempo è fatto per essere sprecato. Che ci vuoi fare? Non sempre si può andare a tutta birra. Ci si ferma e si riparte. Tocchi la vetta e poi sprofondi in un buco nero. Avete un gatto? O dei gatti? Quelli dormono, ragazzi. Possono dormire venti ore al giorno e hanno un aspetto meraviglioso. Loro lo sanno che non c'è niente per cui agitarsi. Il prossimo pasto. E qualcosina da uccidere qua e là. Quando mi sento lacerato dentro, mi basta uno o più dei miei gatti. Sono nove. mi basta guardarne uno mentre dorme o sonnecchia per rilassarmi. Per me la scrittura è come un gatto. Mi consente di affrontare tutto il resto. Mi fa sbollire. Almeno per un po'.

Nella vita ci sono migliaia di trappole e in molte ci cadono quasi tutti. L'idea, però, è di evitarne il più possibile. Serve a restare il più possibile vivi finchè non si muore.

Non è nemmeno una fine così ignobile. E' soltanto merda che gli dei ti rovesciano addosso.




C. Bukowski - Il Capitano è fuori a pranzo

Piano con l'affetto - Ustmamò

Stanotte non ho più consigli nè idee
mi restano poche sorprese
conto i secondi e li finisco così
questi attimi di lunghe attese

Trascinami di nuovo sui tuoi colli ispidi
ma prova a non precipitare per primo

Fermati ancora un attimo
e vacci piano sai piano con l'affetto

Piano con l'affetto
potresti uccidermi così
ti prego vacci piano
solo per il mio bene
potresti anche uccidermi

Tu mi inietti succhi diabolici
io non possiedo antidoti
mi distruggono le tue attenzioni
e gli occhi tuoi famelici
ti ripeto vacci piano con l'affetto

Ti prego lasciami
soltanto un attimo
lasciami respirare con il mio fiato
lasciami vorrei provare anch'io
che cosa importa se è tutto sbagliato

giovedì 3 marzo 2011

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"Siamo due, il contrario di uno e della sua solitudine sufficiente."

"Le nostalgie sono malarie che hanno bisogno dell'umido degli occhi. I miei erano asciutti come l'esca di totano. Quelli che hanno qualcuno da un'altra parte hanno inventato i ponti. E' una costruzione che non mi sarebbe mai venuta in mente. E' male vedere uomini che a sera si passano una mano sulla faccia per asciugarsi un rosso di palpebre. E' bene che gli uomini abbiano sentimenti da lacrime."

"E prima di arrivare alla stanza dei tronchi, nella macchina noi stretti vicini, tu sotto una coperta mi hai cercato la mano e l'hai tenuta. Ho stretto gli occhi per strozzare il tempo. Gli occhi ci riescono [...]
Ho amato e conosciuto i corpi accalorati e presi nell'avvinghio, ma quella mossa tua è una bandierina piantata in mezzo al vento di una cima, dove non si può più salire in alto verso un'intimità maggiore, dove quella raggiunta è inabitabile. Da lì bisogna scendere. Così so dire adesso. Allora la tua mano è stata la congiunzione e, la particella che sta tra due nomi e li accoppia più di abbracci e baci. La tua mano minuta serrata nella mia inutilmente larga, serrata a serratura chiudeva noi due dentro e tutti gli altri fuori.
All'arrivo non volevo lasciarla, non  io per primo, dovevi farlo tu [...]
Ce ne ho messo a ripetere che era tutto, che per poco che era stato reggegva la pienezza dell'intero. Non capisco in tempo, ho bisogno di andare e ripassare sopra l'evidenza per ammetterla e dimenticarla."

Meidl,o meidl ich’ll bai dir fregen
vos ken wachsen,wachsen on regen
vos ken brenen un nit oifheren
vos ken beinken,veinen on treren?
Narisher boker vos darfst du fregen
a shtein ken wachsen wachsen on regen,
liebe ken brenen un nit oifheren
ein hartz ken beinken,veinen on treren.

Ehi tu ragazza dimmi se sai
cosa può nascere anche senz’acqua,
cosa può ardere senza estinzione,
e soffre e piange senza lacrime.
Sciocco ragazzo,cosa mi chiedi?
Senz’acqua  crescere potrà una pietra
senza estinzione brucia l’amore
e senza lacrime soffre e piange un cuore.
(Canzone popolare Yiddish)

"Non lo sapevo com'era il guasto della sua mancanza. La ragazza passava via da me e uno schifo di dolore mi pigliava, ero rincitrullito a indolenzirmi tanto, a lacrimare dietro i pugni stretti. Uno che sceglie di stare con la moltitudine, può mai farsi azzoppare dalla perdita di intimità con una persona sola? Non gli basta fare coppia con i molti? La sorpresa di non sedermi accanto, di sedermi e basta, di parlare agli altri e non guardarla mentre mi ascoltava, la sorpresa di parlare e basta, e tutto il resto del dafarsi senza una sua parola, il dafarsi e basta, mi faceva sbandare, la sorpresa. La solitudine che fa i peggiori agguati nella gioventù, l'avevo contrastata con lei o con la comunità dei molti arrabbiati di giustizia? Allora non lo sapevo e oggi non lo so più, ma ci dev'essere stata un'ora mia per conoscere di cosa era fatto il rovescio delle solitudini, il contrario di uno.
[...] Un anno da loro lontano ed ero rivoltato fino allo stordimento, ma dov'ero stato , da che guerra punica tornavo così rimbambito? Ammaccato negli occhi davo colpa all'amore che non allentava la presa neanche negli urti di piazza. Anzi proprio in quelli volevo dimostrare che era tutto finito, che non m'importava di lei e invece dimostravo ch'era della mia vita che non m'importava.
[...] mi sedetti comodo sempre con quella fitta di mancanza al fianco e mi presentarono una bella sottana di paglia intorno a un vetro, di cognome Chianti, la presi per il collo e mi versai dalla sua bocca il primo bicchiere di vino della vita. L'assaggiai, aspro, io digiuno e traditore d'acqua: il guasto in bocca affiorò sulla faccia con una smorfia tesa agli zigomi. La trattenni, era maschera che mi serviva, briglia e morso.
Un principio di mitezza mi staccò la pena dal fianco, durò poco più di niente.
[...] Nel periodo seguente ho provato a fare col mio corpo il miracolo delle nozze di Cana. Pieno d'acqua volevo trasformarlo in pieno di vino. Non con un colpo solo, ma con regolare sostituzione dei liquidi, bevendone tanto quant'acqua pesavo. Mi riuscì in parte, solo con il cranio. Alla fine dell'esperimento l'avevo affogato. Insieme a lui in fondo allo stesso stagno di vino c'era il corpo dell'amore perduto, una ragazza coi capelli sciolti stava immobile senza dare più unghiate ai miei tendini, nervi.
C'è voluta più tardi l'epatite virale per riportarmi all'acqua e alle papille vergini. Fu un anno di intervallo e poi daccapo. Da allora il vino è solo compagnia, per pareggiare la giornata con un bicchiere alzato al livello degli occhi. Per uno che beve di sera i sorsi sono baci a tutte le donne assenti, e gli occhi che si chiudono, un inchino."

E. De Luca - Il contrario di uno